di Fabio Giordano, comitato tecnico AssoSoftware

Un altro dei fronti su cui i centri studi delle software house dell’area contabile e fiscale mantengono elevata l’attenzione, riguarda le novità relative all’Iva comunitaria che troveranno applicazione a partire dal 1° luglio 2022 («prima fase»), ma che in parte esplicheranno effetto già dal 1° gennaio 2020.

Se è vero, infatti, che per l’avvio a regime della «prima fase» mancano ancora più di due anni e mezzo, un lasso di tempo sicuramente ancora piuttosto lungo, tuttavia non va ma dimenticato che già dal 1° gennaio 2020 qualcosa cambierà (più avanti una breve disamina) e che il processo di adeguamento dei software è sempre piuttosto complesso e parte sempre dall’approfondimento di normative non ancora del tutto completate, né tantomeno assimilate, e quasi sempre nella totale assenza del supporto di interpretazioni ufficiali da parte dell’agenzia delle Entrate.

Senza dimenticare che le software house di oggi, sono aziende oramai molto strutturate, in cui il processo decisionale sullo sviluppo di nuovi pacchetti o anche di semplici funzionalità non può prescindere delle necessarie analisi di mercato, che richiedono anch’esse tempi lunghi, laddove le difficoltà risiedono nel fatto che i clienti finali al momento dell’indagine non sono ancora coinvolti nella gestione di problematiche che dovranno affrontare in futuro, mentre invece le risposte sugli interventi da fare servono subito.

Va detto che questa volta – almeno sul tema dell’inquadramento normativo – un buon aiuto ce lo ha dato il Cndcec, che lo scorso mese di settembre 2019, insieme alla Fondazione nazionale dei commercialisti, ha pubblicato un interessante studio dal titolo «Gli scenari futuri dell’Iva alla luce delle direttive e delle proposte dell’Ue», che sintetizza le novità che ci aspettano a partire proprio dal mese di luglio del 2022.

Ed è proprio da questo studio prendiamo spunto per cercare di individuare quelli che sono gli aspetti operativi che sicuramente richiederanno adattamenti importanti dei software gestionali.

Il quadro normativo in sintesi
La riforma del sistema Iva prevede la creazione – in due fasi ben distinte – di uno «spazio unico europeo» per l’applicazione dell’imposta. La prima fase, che è prevista con decorrenza 1° luglio 2022, prevede una riforma del sistema che si pone quali obiettivi quelli di essere orientata «ad una maggior semplicità, alla necessità di meglio fronteggiare il crescente rischio di frodi e a una maggiore efficienza, oltre che fondato su un più elevato livello di fiducia fra imprese e amministrazioni fiscali e fra le stesse amministrazioni fiscali dei vari Paesi Ue».

In questa prospettiva il sistema dell’Iva si baserà sul principio dell’imposizione nel paese di destinazione dei beni, allo stesso modo di quanto avviene per le cessioni nazionali, venendosi a superare l’attuale sistema che prevede l’inversione contabile.
In questo modo i fornitori e i prestatori non potranno più trarre alcun vantaggio significativo dall’essere stabiliti in uno Stato membro che applica aliquote più basse e pertanto la diversità delle aliquote Iva non dovrebbe più perturbare il funzionamento del mercato unico.

L’idea è quindi quella di un’adozione generalizzata dello sportello unico Moss, già utilizzato per i servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici, e per il quale è prevista l’estensione a tutte le operazioni del commercio elettronico, che permetterà alle imprese di essere soggette all’obbligo di registrazione ai fini Iva (partita Iva) solo negli Stati membri in cui sono stabilite.

A livello amministrativo, lo Stato membro in cui arrivano i beni dipenderà dallo Stato membro di partenza per riscuotere l’Iva dovuta sulla cessione transfrontaliera.
In ogni caso verrà garantita agli operatori una transizione armoniosa, tramite un’attuazione graduale del passaggio al sistema definitivo.

Per tale motivo, nella «prima fase» il nuovo principio di tassazione si applicherà, mediante implementazione dello strumento dello sportello unico Moss, alle sole imprese che non siano certificate dalle rispettive amministrazioni fiscali, mentre le imprese certificate dalle loro amministrazioni fiscali continueranno come ora a essere debitrici dell’Iva per i beni acquistati da altri paesi dell’Ue.

In altre parole, se il cessionario sarà un «soggetto passivo certificato» (Certified taxable person: Ctp), ossia da un soggetto passivo ritenuto affidabile dall’amministrazione fiscale, tale operatore continuerà a operare il versamento dell’Iva sui beni acquistati da altri Stati membri con il sistema attuale del reverse charge, esattamente come accade già oggi.

Nella «seconda fase», invece, il versamento dell’Iva sarà a carico del cedente con le aliquote del paese del cessionario, in modo che tutte le cessioni di beni e servizi nel mercato unico, nazionali o transfrontaliere, vengano trattate allo stesso modo.

Insieme allo spostamento della tassazione nel Paese di destinazione, potrebbe esserci anche un’importante revisione a livello di aliquote Iva. La proposta prevede la sostituzione della lista dei beni e servizi ad aliquota ridotta con altra lista dei beni e servizi obbligatoriamente ad aliquota Iva ordinaria, con ciò rovesciando la logica di sottoporre ad aliquota normale tutti i beni/servizi per i quali non sia prevista l’applicazione di un’aliquota ridotta.
Sarà altresì mantenuta la possibilità di prevedere una o due aliquote ridotte di misura non inferiore al 5% ed è concessa la facoltà di prevedere un’aliquota super-ridotta inferiore al 5% o un’aliquota «zero» con attribuzione, però, del diritto di detrazione dell’imposta sugli acquisti. A condizione che l’aliquota media ponderata – che tiene conto di tutte le aliquote vigenti nello Stato – sia sempre superiore al 12 per cento.

Le norme che entreranno in vigore già dal 1° gennaio 2020
Ci concentriamo, a seguire, unicamente sulle norme che entreranno in vigore già dal 1° gennaio 2020, essendo al momento forse prematuro approfondire ulteriormente le regole sopra illustrate, che applicheremo solo dal 1° luglio 2022. La direttiva Ue 2018/1910 contiene una serie di novità, tutte con effetto dal 1° gennaio 2020, in materia di:
•numero identificativo Iva;
•transazioni «a catena» (triangolazioni);
•disciplina del cosiddetto «call off stock».

Il regolamento 282/2011 contiene, invece, le nuove regole in materia di prova del trasferimento dei beni oggetto di una cessione intracomunitaria, che avranno anch’esse con effetto dal 1° gennaio 2020.

Il numero di identificazione Iva
Per quanto attiene al numero di identificazione Iva, la direttiva prevede che detto numero diventi per il fornitore – oltre che elemento necessario per il trasporto dei beni al di fuori dello Stato membro di cessione – anche condizione sostanziale, oltre che requisito formale, per l’applicazione della non imponibilità in fattura. Inoltre l’applicazione della non imponibilità in fattura sarà condizionata:
•dall’inserimento dei dati del cessionario nel Vies, elemento che diventa essenziale per consentire allo Stato membro di arrivo di essere informato della presenza dei beni nel suo territorio;
•dalla condizione che il cessionario sia identificato ai fini dell’Iva in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio e che egli abbia comunicato al cedente tale numero di identificazione Iva.
•che il cedente rispetti l’obbligo di presentazione dell’elenco riepilogativo Intrastat (di cui agli articoli 262 e 263 della direttiva n. 2006/112/Ce) e che tale elenco riporti le informazioni corrette sulla cessione intracomunitaria (fra cui è compreso l’identificativo Iva del cessionario).

Tali modifiche normative sono chiaramente destinate a esplicare la propria efficacia dal 1° gennaio 2020 e fino al 30 giugno 2022.

Le transazioni a catena (triangolazioni)
Per quanto riguarda le cosiddette «transazioni a catena» (triangolazioni), che sono costituite da più cessioni di beni cui segue un unico trasporto intracomunitario, l’esigenza di una loro disciplina uniforme è derivata dai diversi approcci adottati in questi anni dai singoli Stati membri in riferimento a tali fattispecie, approcci che hanno avuto come conseguenza – in alcuni casi – la doppia imposizione o la non imposizione.

In particolare le difficoltà di applicazione delle norme sono sempre state legate all’individuazione dell’operazione alla quale sia imputabile il trasporto, che è l’unica operazione a beneficiare della non imponibilità prevista per le cessioni all’interno dell’unione, secondo il consolidato orientamento della Corte di giustizia.

La soluzione contenuta nel nuovo articolo 36-bis, della direttiva 2006/112/Ce (a valere dal 1° gennaio 2020), è quella che qualora lo stesso bene sia ceduto più volte e sia spedito o trasportato da uno Stato membro a un altro, direttamente dal primo cedente all’ultimo acquirente nella catena, la spedizione o il trasporto sono imputati unicamente alla cessione effettuata nei confronti dell’operatore intermedio ed è quindi questa che può fruire del regime di non imponibilità.

In deroga a questa regola, la spedizione o il trasporto sono imputati unicamente alla cessione di beni effettuata dall’operatore intermedio, se quest’ultimo ha comunicato al cedente il numero di identificazione Iva attribuitogli dallo Stato membro a partire dal quale i beni sono spediti o trasportati.

Al fine di evitare approcci diversi tra gli Stati membri, che possono avere come conseguenza la doppia imposizione o la non imposizione, e al fine di accrescere la certezza del diritto per gli operatori, verranno comunque stabilite dal 1° gennaio 2020 norme comuni, secondo cui, purché siano soddisfatte determinate condizioni, il trasporto dei beni dovrebbe essere imputato a una sola cessione all’interno della catena di operazioni.

Il «call off stock»
L’accordo di call-off stock ricorre quando il venditore trasferisce uno stock di beni presso un deposito situato in un altro Stato membro, a disposizione di un acquirente conosciuto, e tale acquirente diventa il proprietario dei beni all’atto della loro estrazione dal deposito. Esistono però delle differenze nella disciplina applicata dai diversi Stati membri all’accordo di call-off stock, nell’ambito del commercio transfrontaliero. È quindi possibile che una medesima operazione sia considerata una cessione intracomunitaria presunta nello Stato di partenza e un acquisto intracomunitario presunto nello Stato di arrivo, con successiva realizzazione di una cessione interna nello Stato membro di arrivo nel momento in cui si realizza il prelievo dei beni da parte dell’acquirente.

Ciò finora avrebbe obbligato il cedente a identificarsi nello Stato di destinazione, con evidenti complicazioni e appesantimenti amministrativi, per adempiere agli obblighi correlati all’acquisto intracomunitario presunto, oltre che quelli eventuali previsti nello Stato di arrivo dei beni.

Grazie al nuovo articolo 17-bis, della direttiva n. 2006/112/Ce (avente effetto dal 1° gennaio 2020), l’invio dei beni in regime di call off stock da uno Stato membro a un altro, non configurerà più un’operazione intracomunitaria assimilata, ma una cessione e un acquisto intracomunitari effettivi, che si realizzano, tuttavia, solo al momento del trasferimento del diritto di disporre dei beni come proprietario in favore del soggetto destinatario dei beni e purché il trasferimento abbia luogo entro il termine di 12 mesi dall’arrivo dei beni.

Le prospettive
Abbiamo toccato solo alcuni punti delle novità che ci attendono in materia di Iva comunitaria, tuttavia già ci troviamo immersi in scenari non particolarmente semplici da assimilare. Lato software nella «prima fase» probabilmente sarà sufficiente lavorare nell’affinamento di alcuni aspetti gestionali, quali ad esempio l’inserimento di specifici controlli all’interno delle funzioni di fatturazione in presenza di operazioni triangolari, finora lasciata all’operatività manuale da parte degli utilizzatori. Si tratta comunque di attività complesse, da non sottovalutare.

La «seconda fase» richiederà da parte di tutti un impegno straordinario di adeguamento delle procedure, per cui occorrerà organizzare le attività di produzione prevedendo una corretta pianificazione.

AssoSoftware, nel suo ruolo istituzionale di supporto alle aziende associate, fornirà il necessario sostegno alle software house, nell’analisi di tutte le problematiche e nel dialogo tecnico con gli enti interessati.