Fisco 12 ottobre 2020

 

di Roberto Bellini, direttore generale AssoSoftware

 

Nel dibattito quotidiano sull’utilizzo delle risorse che saranno messe a disposizione del nostro Paese con il recovery fund, una parola d’ordine ricorre regolarmente: digitalizzazione.

Considerando il ritardo da colmare rispetto agli altri Paesi (la Commissione europea nella sua rilevazione periodica del livello di digitalizzazione ci pone 24esimi sui 27 componenti della Ue) la questione di fondo riguarda le priorità e le misure più urgenti che devono essere attuate.

Su questo punto nel passato si sono dovute fare scelte specifiche anche perché i fondi erano limitati e la coperta, come si suol dire, era “corta”. Ora, con i nuovi fondi Ue post Covid, il ragionamento potrebbe essere più ampio e circostanziato, senza tuttavia esagerare nel perdersi in mille rivoli con interventi a pioggia e, quindi, inefficaci.

Partiamo da una considerazione ovvia ma di base.
Ci sono due principali aree sulle quali bisogna concentrarsi:
•la prima sono senza dubbio le infrastrutture fisiche sulle quali viaggiano i dati e quindi parliamo di fibra ottica, 5G, ma anche server, cloud, eccetera;
•la seconda sono i servizi e quindi i software che svolgono le molteplici attività e automazioni necessarie.

Tralasciando tutto ciò che concerne alla sfera del privato cittadino (i.e. l’accesso a internet, l’uso dei servizi pubblici, eccetera) e guardando all’area business e produttiva del Paese, non c’è dubbio che sulle infrastrutture non siamo messi benissimo, abbiamo ancora delle “zone d’ombra”, in alcune aree non c’è ancora la fibra ottica, ma nemmeno siamo il terzo mondo se è vero che il 91% delle imprese italiane (comprese le microimprese) ha una connessione fissa a internet in banda larga (indice Ue 2019); al contrario invece nell’utilizzo dei servizi siamo piuttosto indietro. Infatti, sempre guardando agli indici Ue, solo il 35% delle imprese utilizza un software Erp che automatizza i processi e addirittura solo il 15% un software Crm per dialogare in modo strutturato con i propri clienti. Inoltre, se guardiamo alle imprese più virtuose, solo un 22% fa uso di servizi cloud, che come sappiamo costituiscono un valore aggiunto in termini di continuità ed efficienza (lo sanno bene quelle che durante il lockdown da Covid-19 non hanno potuto lavorare da casa).

In pratica su 5 milioni di imprese, almeno 3 milioni non usa quotidianamente un prodotto software per fare gli ordini, per stampare i Ddt, per comunicare con i clienti, tutte attività che potrebbero essere automatizzate e che, se fatte “a mano”, comportano errori e inutili perdite di tempo.

Nel 2020 non ce lo possiamo più permettere. I dati evidenziati portano quindi alla conclusione che è assolutamente urgente e prioritario investire in servizi e software, qualsiasi software purché utilizzato all’interno delle imprese per migliorare i processi gestionali, per accrescere la propria immagine tramite siti internet o social, per commercializzare prodotti a distanza, per dialogare con la propria rete di clienti e fornitori.

Il programma Industria 4.0 che pur ha avuto il pregio di accendere i riflettori sull’innovazione dei processi industriali e manifatturieri, incentivando soprattutto l’acquisizione di macchinari di nuova generazione, deve essere potenziato, facendolo evolvere in Impresa 4.0, inserendo una nuova linea di azione estesa a tutte le imprese e a tutti i settori e dedicata ai servizi e al software. Solo così potremo dire di aver finalmente imboccato la strada della «digitalizzazione».