di Fabio Giordano, comitato tecnico AssoSoftware
Indicazioni interessanti quelle fornite dalla Cassazione che, con l’ordinanza 20365/2018 depositata il 31 luglio (clicca qui per consultarla ), ha confermato che è necessario conservare la fattura “originale” per poter dedurre i costi sostenuti per l’esercizio dell’attività d’impresa, ai sensi dell’articolo 109 del Tuir.
Ciò vale, chiaramente, anche nel caso in cui il costo di acquisto sia documentato con fattura elettronica. Non è quindi applicabile, a livello tributario, il disposto dell’articolo 2712 del Codice Civile, che invece riconosce – per esempio – alle copie non disconosciute delle fatture, la medesima efficacia probatoria dei documenti originali.
Questa pronuncia è molto interessante in quanto ha sicuramente riflessi importanti in relazione all’imminente entrata in vigore dell’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica, laddove entrano in gioco obblighi civilistici e fiscali di conservazione delle fatture emesse e ricevute, circa i quali non sempre è semplice comprendere e applicare correttamente i concetti di «originale» e di «copia».
Per esempio, grazie alle indicazioni fornite dall’agenzia delle Entrate e agli approfondimenti che abbiamo fatto nel corso dell’ultimo anno, abbiamo tutti capito che la fattura elettronica “attiva” che abbiamo generato con il nostro software è considerata validamente emessa solo dopo che lo Sdi ci ha fornito l’apposita ricevuta che ne certifica l’emissione, mentre la fattura elettronica “passiva” che abbiamo ricevuto è considerata valida solo quando ci è stata trasmessa dallo Sdi.
Dunque il concetto di validità e quindi di «originalità» – sia lato attivo che lato passivo – è in qualche modo connesso all’abbinamento del documento elettronico della fattura con la relativa tipologia di ricevuta rilasciata dallo Sdi, che ne attesta rispettivamente per le fatture attive l’emissione e per le fatture passive la consegna.
Il risultato è che qualora il fornitore spedisca una fattura elettronica al suo cliente, questa – ancorché identica a quella trasmessa dallo stesso fornitore allo Sdi – non potrà essere considerata giuridicamente come originale, ma sarà sempre una copia.
Con la conseguenza che qualora lo Sdi non abbia recapitato la fattura originale al cliente (ricevuta di mancata trasmissione, che attesta comunque la corretta emissione della fattura) e il cliente non l’abbia neppure a sua volta scaricata dal sito web dell’agenzia delle Entrate, su di essa (stiamo parlando della copia inviatagli dal fornitore) non potrà essere operata la detrazione dell’Iva in quanto trattasi di copia e non di originale.
Ora, grazie anche alle indicazioni fornite dalla Cassazione, sappiamo che non solo la detrazione dell’Iva, ma anche la deduzione dei costi inerenti è ammessa solo ed esclusivamente in presenza della fattura di acquisto “originale”, non essendo sufficiente ai fini tributari disporre della sola copia. Fattura “originale” che chiaramente dovrà poi essere conservata a norma di legge.
Le indicazioni della Cassazione
La Cassazione ha precisato che «la normativa tributaria, pur mutuando alcuni principi di base dal diritto civile, ove compatibili, per molti altri aspetti si discosta dalla normativa civilistica, proprio in ragione dell’indisponibilità del rapporto tributario e, conseguentemente, del suo regime probatorio». Quindi, ancorché l’articolo 2712 del Codice civile preveda che «le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime», ai fini tributari valgono invece le indicazioni dell’articolo 22 del Dpr 600/1973, secondo cui «…omissis… devono essere conservati ordinatamente, per ciascun affare, gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevuti e le copie delle lettere e dei telegrammi spediti e delle fatture emesse». Infatti l’articolo 22 del Dpr 600/1973 è norma speciale che in ambito tributario prevale sull’articolo 2712 del Codice civile, che quindi risulta non applicabile.
Dunque, il contribuente può dimostrare la sussistenza dei requisiti prescritti dall’articolo 109 del Tuir, ai fini della deducibilità dei costi, solo producendo documentazione originale, salvo giustificare il fatto di non aver potuto conservare gli originali per causa a lui non imputabile, per esempio per distruzione accidentale o forza maggiore.
Chiaramente la prova della distruzione accidentale o della forza maggiore, nel caso della fattura elettronica conservata in modalità sostitutiva, risulta davvero difficoltoso, stante che la corretta applicazione delle regole rigidissime imposte per la conservazione sostitutiva di fatto rende quasi impossibile la perdita dei dati.
Già da subito l’obbligo della conservazione sostitutiva
Il vincolo, per il cessionario o committente, di dover trattare come elettroniche le fatture ricevute dai soggetti che ricadono nell’obbligo di emissione della fattura elettronica dal 1° luglio 2018, senza la possibilità di materializzarle, come invece avviene quando la fattura elettronica è emessa dal fornitore per sua scelta, porta con sé – come prima evidente conseguenza – la necessità di dover effettuare la conservazione sostitutiva di tali fatture elettroniche. Tale obbligo – come sappiamo – può essere assolto anche tramite il servizio gratuito messo a disposizione dall’agenzia delle Entrate, conforme alle disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, quindi con valenza sia fiscale che civilistica, previa però sottoscrizione anticipata di tutta la documentazione necessaria per l’adesione al servizio.
Senza entrare nel dettaglio del servizio di conservazione gratuito offerto dall’agenzia delle Entrate ci preme però sottolineare che, a differenza degli altri servizi disponibili sul mercato da parte di conservatori accreditati Agid, tale funzionalità è limitata alle sole fatture elettroniche (e non quindi, per esempio, di quelle cartacee emesse dai soggetti esonerati o dai soggetti esteri) e non permette quindi la conservazione a norma di altri documenti che l’operatore economico dovesse conservare per motivi fiscali o civilistici. Anche la gestione del servizio, dal punto di vista operativo, non si presta a un utilizzo snello da parte delle aziende che movimentano volumi significativi di fatture, per la mancanza di funzionalità massive o personalizzabili e per la totale assenza di integrazione con i sistemi gestionali delle imprese.
Va da sé che questa lodevole iniziativa, da parte dell’agenzia delle Entrate, rimane confinata a un uso limitato da parte di operatori occasionali e con volumi limitatissimi per i quali le prestazioni di un sistema di conservazione a norma non fanno alcuna differenza.
I soggetti passivi dovranno comunque ragionare molto rapidamente sulla soluzione di conservazione sostitutiva che vorranno adottare, visto che il 2019 e di fatto alle porte.
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