di Roberto Bellini (*) – Rubrica a cura di AssoSoftware

Se andiamo ad analizzare il livello di informatizzazione e automazione delle varie Regioni italiane non sfugge all’occhio esperto il numero di soluzioni negli ambiti più disparati che la Regione Emilia Romagna e i suoi Enti di servizio hanno messo in campo negli ultimi anni raggiungendo livelli di capacità e di efficienza che sono un modello per tutta la pubblica amministrazione.

Una pubblicazione della Banca d’Italia del 2009 sul livello di informatizzazione degli enti regionali, considerando diversi parametri elaborati da Formez, poneva l’Emilia Romagna in testa nei principali indici di servizi online per la Pa.
Anche come Associazione abbiamo avuto più di un’occasione per apprezzare la competenza e la lungimiranza dei rappresentanti tecnici della Regione Emilia Romagna, in particolare per quanto riguarda i servizi di Intercent-ER (Agenzia per i servizi telematici) nei confronti di imprese e fornitori, con la quale abbiamo anche definito un Protocollo d’Intesa per favorire l’integrazione dei software gestionali con i servizi dell’Agenzia secondo il modello Peppol.
Quando si parla di pubblica amministrazione e di servizi al cittadino, compresi quelli informatici, non dobbiamo però dimenticare il netto confine tra funzioni di pubblica utilità e operazioni di libero mercato e nell’ambito delle prime, le attività sviluppate in house o con forniture esterne. Sono molte le fonti legislative e le sentenze in giurisprudenza che limitano l’attività pubblica per favorire la libera concorrenza tra imprese (si veda il decreto «Bersani – Visco» articolo 13 del Dl n. 223/2006) e la stessa Ue ha indicato precisi limiti d’azione per gli Enti che partecipano a gare pubbliche (articolo 12, direttiva 24/2014); tuttavia spesso la bravura e la capacità dei funzionari pubblici porta a “strafare” eccedendo nelle attività, fornendo servizi in concorrenza con le aziende private o distorcendo il mercato con richieste non previste.
Si tratta di un problema diffuso in tutti gli ambiti, a partire dalle aziende municipalizzate e dai servizi energetici, e anche l’informatica non fa eccezione. Tornando alla Regione Emilia Romagna sono almeno due i casi che ci vengono segnalati come “lesivi” degli interessi privati del mercato e delle imprese.

I due casi
Il primo riguarda ER-PARER, il Polo archivistico regionale, uno dei 4 soggetti pubblici accreditati da Agid (su un elenco di oltre 50 aziende private) per la Conservazione a norma nella pubblica amministrazione. Si tratta certamente di una funzione utile e necessaria quando il servizio viene proposto in modo accessorio e sussidiario a Enti della Regione non provvisti di tali funzionalità, può diventare invece ingombrante e discutibile quando si attua una campagna di reclutamento di qualsiasi Ente, anche fuori Regione, con proposte commerciali fuori mercato.
L’altro caso, forse ancora più grave, riguarda Lepida Spa, una società a capitale completamente pubblico, per il 65% della Regione Emilia Romagna, che è talmente un’eccellenza sui servizi digitali che può anche farsi pagare per “qualificare” i prodotti dei fornitori privati per l’integrazione nella piattaforma pubblica. Nel documento «Condizioni di utilizzo del Processo di Qualificazione Prodotti» si legge all’articolo 2 «La qualificazione prodotti è un processo che mira a verificare che un determinato Prodotto software in una certa versione è in grado di interoperare correttamente, secondo determinati standard tecnici definiti da LepidaSpA, con una determinata Piattaforma regionale» e più avanti all’articolo 6 «L’Adesione al Processo di Qualificazione deve essere corredata della documentazione indicata correttamente compilata e sottoscritta e dall’evidenza del versamento effettuato a titolo di un contributo una tantum, come definito nella tabella seguente, quale compartecipazione forfettaria ai costi complessivamente sostenuti da LepidaSpA per lo sviluppo e la gestione del processo stesso», e nella tabella si riportano le somme da versare variabili da 300 a 900 euro, per ciascun prodotto da “qualificare”.
Obiettivamente ci sembra eccessivo chiedere addirittura un contributo economico alle aziende che, sostenendo già spese e investimenti, devono adeguare i propri software per interoperare con i servizi pubblici. Si arriva addirittura all’assurdo che da una parte la Regione incentiva con fondi le Pmi per lo sviluppo di nuovi software (vedi la recente delibera n. 1339 del 19 settembre 2017 della Giunta regionale dell’Emilia Romagna), dall’altra chiede contributi economici per l’utilizzo dei servizi regionali.

Le linee guida per la Pa
A tal proposito dovrebbero bastare le Linee Guida del Piano triennale per la pubblica amministrazione che al punto 2, Modello Strategico di evoluzione del sistema, asserisce che le Pa devono «promuovere soluzioni volte a stimolare la riduzione dei costi e a migliorare la qualità dei servizi, contemplando meccanismi di remunerazione che possano anche incentivare i fornitori a perseguire forme sempre più innovative di composizione, erogazione e fruizione dei servizi».
Quindi, in conclusione, ben vengano proposte e soluzioni da parte delle pubbliche amministrazioni, se coprono bisogni degli utenti che non trovano risposte dal mercato a prezzi ragionevoli; tuttavia, in generale ci aspettiamo che il pubblico si concentri nel definire le regole e nell’effettuare i controlli, favorendo la cooperazione con il privato che deve essere sempre incentivata e mai ostacolata o frenata da costi incomprensibili.

(*) Direttore generale AssoSoftware

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