Il nuovo ruolo del preposto nella lettura della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati.
Premessa
La Commissione ha recentemente svolto un’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza luoghi pubblici e privati.
Lo scorso 20 aprile è stata approvata la relazione intermedia.
L’intera Relazione presenta aspetti di rilievo, soprattutto per quanto riguarda il grave tema dello sfruttamento della manodopera in alcuni settori.
Tra gli aspetti approfonditi, c’è quello della figura del preposto, all’esito delle modifiche apportate dal DL 146/2021.
In più sedi, Confindustria ha assunto una posizione critica verso questa novità, almeno nella misura in cui non vi fosse una interpretazione formale che, con particolare riferimento alle modalità dell’azione del preposto, assicurasse ragionevolezza sia nella lettura della legge sia rispetto alla posizione di quella giurisprudenza che richiede una vigilanza “momento per momento”.
La ricostruzione della Commissione è di notevole interesse: sia perché conferma in pieno la lettura di Confindustria sia perché proviene dalla Commissione che ha sollecitato il Parlamento ad adottare questa modifica (potrebbe dirsi, quindi, che costituisca una sorta di interpretazione autentica della norma) sia, infine, perché il testo è stato composto anche con la partecipazione dell’INL, per cui – salvo indicazioni differenti – rappresenta anche la lettura dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
Nell’invitare, quindi, alla lettura del documento della Commissione, si tracciano i passaggi più significativi circa la ricostruzione del nuovo ruolo del preposto (paragrafo 5, pagg. 70 e seguenti).
- La conferma della definizione del ruolo di datore di lavoro, dirigente e preposto in materia di salute e sicurezza
Partendo dall’inquadramento civilistico inerente al tema del potere gerarchico all’interno dell’impresa, viene evidenziato il presupposto della responsabilizzazione del datore di lavoro: “l’esercizio legittimo del cosiddetto potere direttivo, detenuto dall’imprenditore e dai suoi collaboratori, posti in posizione gerarchica di sovraordinazione, comporta come conseguenza giuridica che essi siano anche i destinatari, ciascuno secondo le loro rispettive attribuzioni e competenze, degli obblighi giuridici di tutela dell’integrità fisica dei lavoratori”.
A questo proposito, la Commissione evidenzia “la contraddizione organizzativa di preposti che vigilano per la produzione ma non anche per la sicurezza, dovuta alla mancanza di un obbligo di legge di nomina” che “da un lato ha sicuramente indebolito l’attività di vigilanza e sovrintendenza per la sicurezza e, dall’altro, ha esposto penalmente i preposti di fatto a causa della loro scarsa consapevolezza di dover effettuare la vigilanza anche sulla sicurezza oltre che sulla qualità e sui risultati produttivi”.
Questa impostazione relativa alle diverse figure viene confermata nel Dlgs 81/2008, che vede ancora le tre tradizionali figure di datore di lavoro, di dirigente e di preposto, nella lettura che la giurisprudenza ha progressivamente dato in materia di ruoli funzioni e responsabilità penali:
– alla figura del datore di lavoro corrispondono le responsabilità derivanti dalle scelte gestionali di fondo che, se errate o mancanti, possono comportare conseguenti responsabilità penali ai sensi dell’art. 40 del Codice penale;
– alla figura del dirigente corrispondono le responsabilità derivanti dall’organizzazione delle attività lavorative impostate secondo le scelte gestionali prese dai datori di lavoro;
– alla figura del preposto corrispondono le responsabilità derivanti dall’attività di vigilanza rispetto alla corretta esecuzione, o meno, delle prestazioni lavorative e rispetto al controllo del mantenimento della regolarità e non pericolosità di ambienti di lavoro, macchine e attrezzature.
Una distinzione di ruoli e responsabilità che, aggiungiamo, si fonda sul principio giurisprudenziale secondo il quale, “ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio”[1].
La Relazione riafferma, dunque, la coerenza tra l’organizzazione della produzione e quella della sicurezza: “Il descritto impianto generale logico-giuridico, con cui il legislatore attribuisce compiti e funzioni obbligatorie in materia di sicurezza sul lavoro ai datori di lavoro, ai dirigenti ed ai preposti, corrisponde esattamente all’impianto gestionale ed organizzativo che gli imprenditori normalmente implementano nelle loro attività lavorative al fine del raggiungimento degli obiettivi produttivi. Infatti, per il raggiungimento dei fini produttivi, i datori di lavoro effettuano scelte gestionali di fondo, i dirigenti impartiscono direttive generali e organizzative per lo svolgimento delle attività, i preposti sovraintendono personalmente alle attività di lavoro e vigilano affinché le attività produttive si svolgano nel rispetto di quanto stabilito dalle scelte gestionali di fondo e dalle direttive generali organizzative.”
Una distinzione rilevante tra la figura del datore di lavoro e del dirigente, da un lato, e quella del preposto, dall’altro, viene ricondotta la fatto che, se è vero che tutti e tre rivestono posizioni funzionali che operano nell’ambito di poteri di sovraordinazione gerarchica rispetto ai lavoratori, solo i primi due hanno autonomia decisionale, mentre “le attività di vigilanza di questi ultimi si caratterizzano per la mancanza dell’autonomia decisionale, poiché essi devono esclusivamente vigilare sul rispetto delle disposizioni autonomamente impartite da datori di lavoro e dirigenti.”
- L’obbligo di individuazione formale del preposto
Il nuovo obbligo formalmente posto in capo al datore di lavoro o al dirigente determina il venir meno della figura del cd “preposto di fatto” (art. 299 Dlgs 81/2008).
La Commissione sottolinea che “la rilevanza anche in sede penale contravvenzionale del citato obbligo di individuazione del preposto o dei preposti, rende opportuno che tale individuazione debba avvenire con un atto scritto, che rimanga quindi tracciato, non foss’altro a fini probatori dell’avvenuto adempimento dell’obbligo da parte del datore di lavoro o del dirigente”.
Infatti, nell’ipotesi in cui nell’ambito di una vicenda processuale relativa a danni da lavoro dovesse essere rilevata, tra le altre cause, anche quella di una mancata attività di vigilanza, “in assenza di un atto tracciato di individuazione formale del preposto, sarebbe altamente probabile far risalire a carico dei dirigenti o del datore di lavoro sia l’attribuzione della responsabilità contravvenzionale per la mancata nomina del preposto, sia l’attribuzione della responsabilità per il conseguente delitto di lesioni o di omicidio colposo di cui agli artt. 589 e 590 del Codice Penale”.
Quanto alla modalità concreta nulla si dice, ritenendo evidentemente sufficiente la tracciabilità dell’individuazione (all’interno del DVR, in atti generali, attraverso specifici incarichi, etc.).
- La formazione del preposto
La norma interviene anche sul requisito formativo richiesto dalle nuove competenze del preposto, con particolare riferimento al tema della vigilanza sui comportamenti dei lavoratori e sulla condizione delle attrezzature.
Se, quindi, è ovvio, che “le non conformità comportamentali rilevate sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature devono essere state oggetto della formazione specifica ricevuta dal preposto (art. 1, lettera g).”, è assolutamente rilevante l’affermazione della Commissione, quanto alle modalità di erogazione della formazione, secondo la quale “l’obbligatoria modalità “in presenza” deve essere considerata validamente attuata, alternativamente, sia come presenza fisica sia come video conferenza sincrona”.
“Infatti – prosegue la Commissione – l’elemento caratterizzante della formazione in presenza, rispetto alla formazione e-learning, è la possibilità, di cui dispone il discente, di avere un rapporto diretto con il docente e poter interloquire con lui in tempo reale, essendo ininfluente, ai fini del rispetto della norma che parla solo di “presenza”, se tale l’interlocuzione in tempo reale venga realizzata in presenza fisica o in video conferenza sincrona”.
È questo un passaggio assai rilevante, sul quale conviene soffermarsi per evidenziare che la valorizzazione della formazione in video-conferenza sincrona, anche al di fuori del periodo emergenziale, costituisce ormai una modalità riconosciuta e accolta alle stesse Regioni e dall’Inail.
La Commissione apporta, dunque, un ulteriore tassello a questo delicato aspetto, confermando e motivando l’equiparazione tra formazione in presenza e con videoconferenza sincrona, sulla base del rapporto diretto tra docente e discenti e sulla possibilità di interazione in tempo reale.
Ciò fonda ulteriormente l’auspicio che, in sede di revisione degli accordi Stato-Regioni, tale principio venga riaffermato (salvi, ovviamente, gli aspetti pratici che necessitano della presenza fisica).
- Modalità della vigilanza da parte del preposto
Si tratta di uno dei passaggi di maggior rilievo del documento della Commissione.
In via generale, la Commissione afferma il principio che “l’obbligo di vigilanza non consiste in un obbligo di presenza continuativa di un preposto per ogni attività di lavoro”, anche perché “quando la presenza di un preposto deve essere continuativa rispetto ad una attività di lavoro tale presenza continuativa viene espressamente prevista dalla legge”.
Si tratta di una impostazione di fondo che supera quella parte della giurisprudenza secondo cui la vigilanza dev’essere svolta “momento per momento”[2].
Più specificamente, si evidenzia che “la riforma introdotta dalla legge n° 215/2021… non ha però modificato gli aspetti generali dell’istituto della vigilanza sotto il profilo organizzativo. Infatti, la riforma non ha innovato le regole in ordine al numero dei preposti che devono essere individuati dai datori di lavoro o dai dirigenti, né ha modificato la natura della vigilanza in ordine ai tempi da dedicare alle attività di controllo”.
Quanto al numero dei preposti, il documento sottolinea che “la materia continua ad essere completamente demandata alle scelte gestionali ed organizzative dei datori di lavoro e dei dirigenti, i quali potranno ampliare o diminuire il numero dei preposti sia sulla base della pericolosità delle lavorazioni da effettuare, pericolosità che deve essere ricavata dai documenti di valutazione dei rischi sia sulla base della concreta organizzazione di tale attività”.
Fermi questi principi per le attività che si svolgono all’interno dell’azienda, altri problemi si pongono per l’attività svolta fuori della sede aziendale.
Per chiarire su questo punto, il documento esemplifica, in primo luogo, la situazione di una attività svolta fuori sede da una squadra: in questo caso, “può essere opportuno che la squadra abbia un suo preposto”; “al contrario, nel caso di più squadre che lavorino in uno stesso ambiente circoscritto, si potrà nominare un solo preposto per tutte le squadre”.
Altro chiarimento riguarda le ipotesi dei lavoratori che operano al di fuor della sede aziendale non in squadra.
Fermo restando che “un lavoratore non può essere il preposto di sé stesso”, la Commissione evidenzia che, “nel caso di una impresa con un solo lavoratore il ruolo di preposto dovrà essere svolto dal suo datore di lavoro”.
Ancor più ficcante è l’osservazione, che riafferma la logica organizzativa e non di vigilanza momento per momento, secondo la quale “nel caso di un lavoratore o più lavoratori che normalmente vengano inviati ad effettuare lavori fuori sede senza un preposto, il datore di lavoro o i dirigenti dovranno organizzare un sistema di vigilanza random a cura di un preposto itinerante, in mancanza del quale l’obbligo di vigilanza di cui all’art. 19, che è un obbligo irrinunciabile, ricadrà sui dirigenti o sullo stesso datore di lavoro”.
La soluzione offerta dalla Commissione, quindi, risolve la criticità che avevamo sollevato in merito alla gestibilità delle situazioni extra-aziendali, nel caso in cui fosse passato il concetto della verifica “momento per momento”.
Le argomentazioni della Commissione consentono di concludere che, a fronte della ordinaria responsabilità del datore di lavoro, l’organizzazione di un servizio di vigilanza in logica organizzativa è rispondente alla richiesta della legge ed è considerato efficace.
Ed è una efficacia che rileva innanzitutto sul versante della tutela della sicurezza dei lavoratori (l’azione sui comportamenti anticipa il pericolo di accadimento di eventi) ma che si riflette anche sull’adempimento dell’obbligo di vigilanza posto in capo al datore di lavoro (egli infatti esplica adeguatamente tale obbligo attraverso il preposto) e sulla sua responsabilità (una volta organizzata e verificata la condotta del preposto, il datore di lavoro non risponde delle eventuali mancanze di quest’ultimo verso i lavoratori e delle carenze comportamentali degli stessi, laddove la condotta errata o carente del preposto o dei lavoratori non derivino, ovviamente, da deficienze – ad es., formazione, informazione, addestramento, dotazione di DPI riconducibili al datore di lavoro stesso).
La Commissione valorizza, quindi, la (pur risalente) giurisprudenza secondo la quale “il compito del preposto non è quello di sorvegliare a vista ed ininterrottamente da vicino il lavoratore, ma di assicurarsi personalmente che questi esegua le disposizioni di sicurezza impartite ed utilizzi gli strumenti di protezione prescritti. Ciò il preposto può farlo anche allontanandosi dal luogo dove si trova il lavoratore, dedicandosi ad altri compiti di sorveglianza e di lavoro, purché quando effettua il controllo si assicuri in modo efficace (senza tollerare non conformità) personalmente e senza intermediazione di altri dell’osservanza degli ordini impartiti”.
Giurisprudenza confermata anche successivamente, nel riaffermare che “non si tratta di dovere o meno essere presenti in ogni momento delle lavorazioni, ma di raggiungere l’obiettivo di una utile vigilanza, sicché le modalità di adempimento – quando non individuate dalla legge – saranno quelle richieste dal caso concreto“[3] e nell’evidenziare “l’impossibilità di radicare in capo all’imputato un obbligo di presenza costante e continua sui luoghi di lavoro”[4].
Ancora, “la funzione di garanzia del preposto non può significare che il medesimo debba essere costantemente presente. Nella specie, infatti non è questione di presenza continua, ma di corretto esercizio delle tipiche funzioni del preposto che, in quanto delegato alla diretta sorveglianza dei lavoratori a lui affidati, è certamente tenuto, indipendentemente dalla presenza al momento del fatto, ad una attenta ed assidua vigilanza e specialmente a dare istruzioni”[5].
Ovviamente, vi è anche giurisprudenza recente che offre, seppur più genericamente, una visione maggiormente restrittiva, che, però – a questo punto – appare superata dall’impostazione della Commissione.
Ad esempio, di recente è stato affermato il principio secondo cui “il preposto, infatti, deve non solo organizzare lo svolgimento del lavoro, al fine di consentire agli addetti di operare in sicurezza, stabilendo le direttive da seguire, ma deve anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei medesimi, in modo da evitare la superficiale tentazione di trascurarle”[6].
La linea della Commissione, quindi, si muove più sul tema organizzativo (non tollerare non conformità, non consentire prassi rischiose) che non su quello della presenza costante ed assidua, momento per momento.
Conclusioni
La posizione della Commissione appare chiara e in linea con pretesa di vigilanza dell’ordinamento che possa dirsi allo stesso tempo ragionevole ed efficace.
Tale non sarebbe, infatti, un obbligo di compresenza del preposto, momento per momento, con ciascuno dei lavoratori e un obbligo di vigilanza su ciascun atto lavorativo per verificare la correttezza dei comportamenti.
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[1] Da ultimo, Cass., 22271/2021
[2] Es., Cass., 44944/2021
[3] Cass., 26994/2015
[4] Cass., 49361/2015
[5] Cass., 4412/2012
[6] Cass., 7092/2022