La Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro – le cui indicazioni costituiscono “criteri interpretativi e  direttivi  per  l’esercizio delle attività di vigilanza” – ha risposto ad un quesito posto dalla Regione Lazio relativo alla portata della sorveglianza sanitaria.

Il dubbio espresso dalla Regione richiedente è relativo all’estensione o meno della sorveglianza sanitaria ai cd rischi non normati, ossia a quelle condizioni di rischio per le quali non è previsto puntualmente un obbligo di sorveglianza sanitaria.

Il quesito, quindi, pone l’alternativa “se l’obbligo di sorveglianza sanitaria sia da collegarsi rigidamente all’interno delle previsioni di cui all’articolo 41 e, conseguentemente, gli obblighi a carico del datore di lavoro di cui all’articolo 18 siano connessi esclusivamente con l’applicazione dei giudizi di idoneità emessi dal medico competente e delle eventuali prescrizioni/limitazione in essi contenute, ovvero se, ai sensi dell’articolo 18, comma 1 lettera c), il datore di lavoro debba, in generale, tenere conto delle condizioni dei lavoratori in rapporto alla loro salute e sicurezza e della loro capacità di svolgere compiti specifici, garantendo conseguentemente una sorveglianza sanitaria programmata dal medico competente in funzione dei rischi globalmente valutati per la mansione specifica e non limitata alle previsioni di cui all’articolo 41”.

Il quesito riflette le tante antinomie, incongruenze e dubbi di legittimità costituzionale che Confindustria ha da sempre evidenziato e contestato nel Dlgs 81/2008, questa volta sul tema specifico della sorveglianza sanitaria (in un intricato percorso tra divieti e obblighi, tra timore di eccessivo potere del datore di lavoro[1] e tutela globale della salute) e la cui soluzione riflette i propri effetti in altri ambiti rilevanti, a partire dalla valutazione dei rischi e della conseguente responsabilità del datore di lavoro.

Analizzate le norme di riferimento del Dlgs 81/2008[2],  il Ministero afferma che esse prevedono “precisi obblighi in capo al datore di lavoro e al medico competente, in forza della loro specifica posizione di garanzia, ai fini della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e che, allo stato, in considerazione della complessa e articolata normativa vigente, cui fa peraltro riferimento l’articolo 41, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 81/2008, la sorveglianza sanitaria debba essere ricondotta nell’alveo del suddetto articolo 41”.

Viene, quindi, sposata la soluzione più restrittiva: la sorveglianza deve essere ricondotta nell’alveo dell’art. 41, ossia dei soli “casi previsti dalla normativa vigente” e non è legata alla (indeterminata) logica “dei rischi globalmente valutati per la mansione specifica”[3].

Si tratta di una soluzione che fa della sorveglianza sanitaria una eccezione (come tale, da interpretarsi in senso restrittivo e tassativo) al principio generale contenuto nell’art. 5 della legge 300/1970 – norma stranamente non richiamata nell’interpello – secondo il quale “sono vietati accertamenti da  parte  del  datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore  dipendente” e vi è la “facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico”[4].

La risposta ad interpello, nella sua stringatezza, supera così la posizione di chi attribuiva al medico competente una funzione più ampia, legata ad una “valutazione globale dei rischi” e animata alle finalità e garanzie contenute nella impropria definizione del concetto di salute ai fini della sicurezza sul lavoro, quale “stato  di  completo  benessere  fisico,  mentale e sociale,   non   consistente   solo   in  un’assenza  di  malattia  o d’infermità”.

Cade, dunque, anche la visione di un datore di lavoro garante della salute globale del lavoratore: questo appare essere il profilo culturale di maggior portata. Si esclude, così, la sorveglianza sanitaria come  misura generale di tutela (riconducibile al principio contenuto nel richiamato art. 18, comma 1, lett. c), ossia come adempimento dovuto in tutti i casi nei quali scienza ed esperienza lo consiglino, a protezione della salute del lavoratore (anche in base all’art. 2087 cc).

Viene ricondotta ad una maggior concretezza anche la generica definizione di sorveglianza sanitaria, quale “insieme   degli  atti  medici, finalizzati  alla  tutela  dello  stato  di  salute  e  sicurezza dei lavoratori,  in  relazione  all’ambiente  di  lavoro,  ai  fattori di rischio  professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa”: ambiente di lavoro, fattori di rischio professionali e modalità di lavoro possono ora essere oggetto di analisi da parte del medico competente solamente laddove esista una specifica previsione che legittimi la sorveglianza sanitaria.

Le ipotesi oggetto di sorveglianza sanitaria (e, conseguentemente, anche di nomina del medico competente) sono dunque tassative e possono essere individuate solamente dalla legge (ponendo, quindi, in luce l’improprietà della iniziativa di alcune Regioni nell’integrare le ipotesi di sorveglianza sanitaria[5]).  La giurisprudenza[6] aveva già precisato in passato che “mentre l’art. 5 della legge 300/1970, riferendosi a tutti i datori di lavoro, ha portata generale, gli artt. 2 lett. d), 16 e 17 D. LGS. 626/1994, hanno portata settoriale, perché si applicano solo alle aziende che espongono i lavoratori a specifici rischi per le quali è positivamente prescritta la sorveglianza sanitaria sui luoghi di lavoro”.

La pronuncia si riflette, poi, sulla valutazione dei rischi, la cui portata ampia e indefinita (“valutazione globale e documentata di tutti  i  rischi  per  la  salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito  dell’organizzazione  in  cui  essi  prestano  la propria attività,   finalizzata   ad   individuare  le  adeguate  misure  di prevenzione  e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte  a  garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”) dovrebbe ora essere riconsiderata in conseguenza del limitato potere/dovere di intervento del medico competente.

Infatti, solo il legislatore può determinare la ipotesi nelle quali è obbligatoria la sorveglianza sanitaria ed una analoga facoltà non è attribuita al datore di lavoro in fase di valutazione dei rischi: quale che sia tale valutazione, il medico non potrà (dovrà) intervenire, nemmeno in via facoltativa o integrativa né potrà effettuare visite o rilasciare giudizi di idoneità.

Va, allora, rivalutata la perentorietà dell’articolo 5 dello Statuto dei lavoratori, che attribuisce semplicemente una facoltà di indagine sulla salute del lavoratore e non un obbligo per il datore di lavoro, notevolmente limitata  anche dai tempi di risposta degli organi pubblici, non in linea con le esigenze aziendali e forieri di problemi di utilizzabilità del lavoratore durante il lasso di tempo necessario per l’emanazione del giudizio.

Da ricordare che il divieto dell’art. 5 non è superabile nemmeno dal consenso del lavoratore, per cui una richiesta che non sia strettamente legata al rischio lavorativo non scrimina la responsabilità penale del datore di lavoro[7].

Così come occorrerà riflettere sugli aspetti di responsabilità del datore di lavoro, il quale non potrà avere un supporto sanitario se non nelle poche e tassative ipotesi di legge e, quindi, non potrà vedersi attribuita alcuna responsabilità legata a fatti di natura sanitaria al di fuori della sfera di attribuzione del medico, laddove presente.

Criticità che confermano, quindi, l’esigenza di una revisione della normativa di salute e sicurezza anche sul piano della sorveglianza sanitaria, in particolare chiarendo questi punti e le conseguenze sopra delineate, anche consentendo al datore di lavoro di richiedere al medico competente la sorveglianza sanitaria, sempre, ovviamente, che questi la ritenga legata ai rischi lavorativi.

<>1.Individuazione delle disposizioni di legge che prevedono l’obbligo di sorveglianza sanitaria.

In tema di sorveglianza sanitaria, il datore di lavoro è dunque costretto tra due impianti sanzionatori: la violazione del divieto generale contenuto nell’art. 5 della legge 300/1970 (art. 38, comma 1) e la violazione della omessa nomina del medico competente e della conseguente omessa sorveglianza sanitaria (Dlgs 81/2008, art. 18, comma 1, lett. a) nelle ipotesi genericamente previste dall’art. 41.

Occorre anche tener conto del fatto che il lavoratore è legittimato a richiedere la sorveglianza sanitaria (a condizione che il medico sia stato nominato e che questi ritenga  la richiesta coerente con i rischi insiti nelle mansioni specifiche assegnate al lavoratore)[8],  che il lavoratore può rifiutarsi di svolgere le proprie mansioni senza una preventiva sorveglianza [9] e può rifiutare di sottoporsi ad una sorveglianza indebita, ossia al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge.

Ulteriore complessità applicativa deriva dal fatto che in alcune ipotesi l’obbligo di sorveglianza scatta solamente al superamento di determinate soglie.

Un riferimento potrebbe essere il modello 3b (collegato all’art. 40 del Dlgs 81/2008), che nell’ultima revisione del 2016, riporta le seguenti attività/fattori di rischio per le quali comunicare l’attività di sorveglianza sanitaria:

1
MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI
2
SOVRACCARICO BIOMECCANICO ARTI SUPERIORI
3
RISCHI POSTURALI
4
AGENTI CHIMICI
5
AG. CANCEROGENI
6
AG. MUTAGENI
7
AMIANTO
8
SILICE
9
AGENTI BIOLOGICI
10
VIDEOTERMINALI
11
VIBRAZIONI CORPO INTERO
12
VIBRAZIONI MANO BRACCIO
13
RUMORE
14
CAMPI ELETTROMAGNETICI
15
RADIAZIONI OTTICHE ARTIFICIALI
16
RADIAZIONI ULTRAVIOLETTE NATURALI
17
MICROCLIMA SEVERO
18
INFRASUONI /ULTRASUONI
19
ATMOSFERE IPERBARICHE
20
LAVORO NOTTURNO >80gg/anno
21
ACCERTAMENTI assunzione ALCOL
22
ACCERTAMENTI assunzione SOSTANZE STUPEFACENTI
23
ALTRI RISCHI EVIDENZIATI DA V.R.

Ovviamente, nell’elenco – riportato nel DM 12 luglio 2016  va correttamente intesa la previsione “Altri rischi evidenziati da v.r” intendendola oggi riferita esclusivamente ad una valutazione che faccia emergere altri rischi/attività per i quali la legge prescrive l’obbligo di sorveglianza sanitaria (es. DPR 177/2011 relativo agli ambienti confinati). Vi è, comunque, intenzione di aggiornare i contenuti di questo allegato da parte del Ministero della Salute.

<>2.Le ipotesi di obbligo di nomina del medico competente

La soluzione contenuta nell’interpello fa chiarezza, indirettamente, sulle ipotesi nelle quali deve essere nominato il medico competente, ossia, appunto, solamente nelle ipotesi in cui è obbligatoria la sorveglianza sanitaria[10] secondo quanto previsto dall’art. 18, comma 1, lett. a): “nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo”.

Se l’attività aziendale non contempla nessuna delle attività per le quali è prevista, per legge, la sorveglianza sanitaria, non sarà dunque necessario/obbligatorio nominare il medico competente. Da qui, ancora una volta, l’esigenza di una conoscenza delle ipotesi tassative nelle quali vige l’obbligo di sorveglianza sanitaria (vista la sanzione penale che assiste l’omessa nomina: arresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.500 a 6.000 euro).

<>3.Il superamento della soluzione alternativa

La Regione Lazio nella richiesta di interpello aveva proposto una interpretazione alternativa: “se ai sensi dell’articolo 18, comma 1 lettera c), il datore di lavoro debba, in generale, tenere conto delle condizioni dei lavoratori in rapporto alla loro salute e sicurezza e della loro capacità di svolgere compiti specifici, garantendo conseguentemente una sorveglianza sanitaria programmata dal medico competente in funzione dei rischi globalmente valutati per la mansione specifica e non limitata alle previsioni di cui all’articolo 41”.

Secondo l’art. 18, comma 1, lett. c), il datore di lavoro “nell’affidare i compiti ai lavoratori, (deve) tenere  conto  delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza”.

A questa previsione la Regione Lazio intendeva evidentemente conferire una valenza estensiva, legata ad una (presunta) valutazione “globale” dei rischi, ossia riferita non solamente a quelli “cd normati” perché riferiti ad una mansione specifica prevista dalla legge, ma anche a quelli “cd non normati”, a cui dovrebbe conseguire obbligatoriamente la sorveglianza sanitaria.

Questa interpretazione avrebbe aperto a dismisura obblighi e responsabilità del medico competente, ma avrebbe inciso anche sul datore di lavoro, in quanto avrebbe fatto assurgere innumerevoli a rischi lavorativi altre fattispecie da valutare e sulle quali esercitare l’attività di prevenzione attraverso la sorveglianza sanitaria, estendendo così le responsabilità anche verso fattori non lavorativi, seppure collegati alla “salute” del lavoratore.

Ciò avrebbe contrastato anche con la previsione dell’art. 5 della legge n. 300/1970, nemmeno richiamata nella risposta ad interpello, che introduce il divieto degli accertamenti sanitari da parte del datore di lavoro, rispetto alla quale l’obbligo di sorveglianza si pone – come detto – in termini di eccezionalità.

Solo i rischi previsti tassativamente dalla legge (non anche quelli eventualmente individuati nel documento di valutazione dei rischi) danno luogo all’obbligo di sorveglianza sanitaria e di nomina del medico competente[11]. Non esiste una sorveglianza sanitaria facoltativa o integrativa.

In questo senso si era espressa anche la giurisprudenza,  secondo la quale i compiti del medico competente “sono definiti per legge e sono comunque finalizzati alla prevenzione e protezione dei lavoratori esposti allo specifico rischio lavorativo: pertanto non sono estensibili ad altri settori”[12].

Conclusione

La risposta ad interpello, in linea con precedenti prese di posizione (sia dello stesso Ministero del lavoro sia della giurisprudenza) è dunque orientato a ricondurre gli obblighi del datore di lavoro ai fattori realmente lavorativi, alla concretezza delle mansioni e delle lavorazioni.

Rischi ambientali, organizzativi, sociali – dalla portata indeterminata, legati ad un profilo globale della salute del lavoratore e non a mansioni specifiche – non possono/devono quindi formare oggetto di sorveglianza sanitaria in quanto non rientrano nell’elenco tassativo di legge e potranno essere affrontati esclusivamente a condizione che incidano sulle mansioni del lavoratore e, comunque, esclusivamente con misure di prevenzione di ordine tecnologico ed organizzativo.

Interpello-Regione-Lazio-201022-signed

[1] V. interrogazione a risposta in Commissione (5-06678) nella seduta n. 503 del 15 ottobre 2015, che si pone il problema del rapporto tra gli artt. 18 e 41 (richiamati nell’interpello in commento): “il problema sorge ove il datore di lavoro nella generale valutazione dei rischi nell’ambito della quale il medico competente è obbligato alla collaborazione ex articolo 25, comma 1, lettera a), del decreto – rilievi un possibile aumento del rischio di infortuni da rischi non normati e pertanto, tramite l’azione del medico competente, avvii una ricerca attiva nei confronti di tali patologie da causa extralavorativa ma incidenti sulla idoneità alla mansione specifica”

[2] Definizione di sorveglianza sanitaria – art. 2, lett. m); obblighi del datore di lavoro – art. 18, comma 1, lett. a),  c), bb), z); gli obblighi dei lavoratori  – art. 20, comma 2, lett. i); obblighi del medico competente, art. 25, comma 1, lett. a) e b); gli obblighi di valutazione dei rischi – art. 28, comma 1; svolgimento della sorveglianza sanitaria – art. 41, commi 1 e 2

[3] V. Circ. n. 102 del 7 agosto 1995: “5. Medico competente. In relazione alla definizione di tale figura professionale, nell’articolo 2, comma 1, lettera d), giova precisare che non si è inteso estendere – in una sede, del resto, solo definitoria e quindi impropria – l’area d’intervento del medico competente, generalizzandola a tutti i settori di cui all’articolo 1. L’area di intervento del medico competente è quindi quella definita nell’articolo 16, comma 1, ove si precisa che la sorveglianza sanitaria, effettuata dal medico competente ai sensi del successivo comma 2, è richiesta solo nei casi previsti dalla normativa vigente, cioè quando la legislazione precedente (o anche quella di emanazione) faccia espressa previsione dell’intervento del medico competente, come ad esempio nel caso della tabella allegata all’articolo 33 del Dpr n. 303/56, del decreto legislativo n. 277/91, ovvero dei titoli V, VI, VII e VIII del decreto legislativo 626/94 di che trattasi.”

[4] Per la ricostruzione del rapporto tra l’art. 5 e la sorveglianza sanitaria, v. Cass., 1728/2005

[5] V., ad esempio, Linea Guida per l’utilizzo di scale portatili nei cantieri temporanei e mobili, Regione Lombardia, 2013, che introduce un obbligo di sorveglianza sanitaria.

[6] Cass., 1728/2005 cit.

[7] Cass. 1728/2005, cit.

[8] V. interpello 8/2015

[9] Cass., 24459/2016

[10] Cass., 26539/2008

[11] È il caso, ad esempio, dei lavori in quota o allo stress lavoro correlato, non soggetti a obbligo di sorveglianza sanitaria

[12] Cass., 1728/2005, cit.