Premessa
Come noto, il DL 146/2021 ha ridisciplinato la funzione del preposto: se, infatti, da un lato, la definizione (art. 2, comma 1, lett. e)[1] è stata mantenuta ferma, dall’altro (art. 19, comma 1, lett. a) ed f-bis)[2], le competenze e le attribuzioni (nonché le responsabilità penali) sono state incise in modo significativo.
Ci eravamo da ultimo soffermati sulla figura del preposto a commento alla Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati.
Già in quella occasione avevamo sottolineato l’importanza di alcuni passaggi della Relazione relativi alla distribuzione delle competenze secondo la logica delle sfere di garanzia ormai consolidata in giurisprudenza ed alla lettura delle nuove funzioni del preposto.
La Cassazione offre, ora, ulteriori tasselli ricostruttivi che è opportuno sottolineare e che vanno dalla distribuzione degli obblighi e responsabilità in materia di sicurezza all’inquadramento della figura del preposto.
La distribuzione degli obblighi
Il punto di partenza della ricostruzione logico-ermeneutica di Cass. 42035/2022 è la conferma del concetto di sfera di responsabilità ai fini di una distribuzione di obblighi e responsabilità che possa dirsi rispettoso del principio costituzionale della colpevolezza (tra datore di lavoro, dirigente e preposto).
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ricorda la Cassazione, ai fini dell’individuazione del soggetto espressamente deputato alla gestione dello specifico rischio deve tenersi presente il principio in base al quale alla sfera di responsabilità del preposto attiene l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo.
Il secondo punto è il ricorrente passaggio relativo al superamento del modello iperprotettivo della legislazione degli anni 50 e 60 (interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facciano un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà) che lascia il posto a quello collaborativo introdotto dalla legislazione comunitaria (in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori). Con l’effetto del passaggio dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore” al concetto di “area di rischio” che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva.
Il terzo punto, di particolare rilievo, è quello afferente alle responsabilità “all’interno della sfera di rischio”. È un passaggio importante perché sembra (con i limiti della rilevanza di una sentenza nel panorama giurisprudenziale) superare le affermazioni che tendono ad accomunare le posizioni del datore di lavoro, del dirigente e del proposto affermando l’esistenza di più titolari della posizione di garanzia.
La sentenza in commento, infatti, precisa che “non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore”.
A questo proposito soccorre la sentenza 1103/72022, la quale precisa la questione della presenza di più posizioni di garanzia. Secondo il principio generale, “nei reati omissivi colposi, se più sono i titolari della posizione di garanzia , ciascuno è, per intero, destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento”. Un principio che sembra cozzare irrimediabilmente contro l’altro relativo alla distribuzione delle sfere di garanzia. La sentenza precisa, in questo la sua rilevanza, che “se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l’altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto”.
Se, dunque, è vero che il datore di lavoro è il titolare della posizione di garanzia generale (che appare sovrapporsi con quella di dirigente e preposto), suo obbligo specifico – una volta organizzato il sistema della sicurezza, anche mediante l’individuazione di dirigenti e preposti – non è più quello di svolgere le stesse funzioni affidate ai vari soggetti dell’organizzazione aziendale, ma quello di accertarsi che il primo garante (il dirigente per l’organizzazione ed il preposto per la sorveglianza in fase esecutiva) siano intervenuti.
Una ricostruzione che, così precisata, rende ragione del principio dell’esistenza di più titolari della stessa posizione di garanzia, evidenziando che, in realtà, a valle dell’organizzazione, tali posizioni si modificano, passando dall’azione al controllo e giustifica quanto previsto all’art. 18, comma 3bis del Dlgs 81/2008 sull’obbligo di vigilanza del datore di lavoro: “obbligo che può ritenersi assolto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto delle prassi elusive seguite dai lavoratori di cui il datore di lavoro sia a conoscenza” (Cass., 42035/2022).
Il preposto
L’obbligo di vigilanza posto in capo al preposto dalla definizione generale è stato rafforzato con la modifica dell’art. 19 del Dlgs 81/2008.
Il preposto è dunque la “figura della sicurezza precisamente deputata alla vigilanza dell’osservanza delle misure di prevenzione, atteso che lo stesso obbligo datoriale di vigilanza può ritenersi assolto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto delle prassi elusive seguite dai lavoratori di cui il datore di lavoro sia a conoscenza” (Cass., 42035/2022).
Una prima osservazione è relativa all’oggetto del controllo: le prassi elusive di cui sia a conoscenza il datore di lavoro. Questa specificazione consente di arricchire la conoscenza dell’attività richiesta al preposto e di orientare la sua funzione ad una sorveglianza prevalentemente verso le prassi (ossia i comportamenti dei lavoratori ripetuti nel tempo) più che ai singoli gesti lavorativo.
Una logica confermata, oltre che dal riferimento normativo ai comportamenti lavorativi più che alla concreta esecuzione del lavoro momento per momento, anche dalla Relazione della Commissione parlamentare, laddove si conferma che l’obbligo di vigilanza non consiste in un obbligo di presenza continuativa di un preposto per ogni attività di lavoro. Orientamento confermato anche da recente giurisprudenza[3].
Un secondo approfondimento riguarda le modalità del controllo.
La sentenza 11037/2022 si sofferma su questo aspetto ed appare significativa, anche perché in linea con le conclusioni della Commissione parlamentare.
Nella pronuncia si evidenza che, nella fattispecie, “il DVR non prevedeva una griglia di controlli – sistematici o a campione ma sistemici – sul rispetto delle regole cautelari previste, né un sistema di controllo sull’onere di informazione dei responsabili di unità e di area verso il direttore regionale in punto di utilizzo effettivo dei dispositivi di protezione individuale né l’elaborazione del DVR prevedeva un sistema, a cascata, di controlli sull’effettivo rispetto delle procedure di sicurezza elaborate e per prevenire infortuni. Se così è, risulta evidente che il DVR era effettivamente inadeguato, anche solo con riferimento ai protocolli operativi nell’utilizzo di macchinari e dispositivi finalizzati al taglio.
Allo stesso tempo, non risultano controlli effettivi da parte del responsabile di unità sull’effettivo e costante utilizzo dei DPI da parte dei singoli lavoratori; nulla sembra riferito dal responsabile di unità delegato al direttore regionale, non risultano protocolli di controllo, nemmeno a campione richiesti dal direttore generale né verifiche effettive da parte dell’imputato ricorrente sui controlli del responsabile di unità e di area.
La conclusione è che i responsabili di Area e di Unità non controllavano, S.M. non esigeva report né aggiornamenti sicché l’utilizzo dei guanti di lattice, in dispregio dei dispositivi di protezione individuale era, con rifermento alla vicenda per cui vi è processo, una prassi diffusa, in totale violazione degli oneri di reciproca informazione cui erano tenuti i soggetti destinatari di deleghe in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro”.
Ecco, quindi, che emerge, con sufficiente chiarezza, l’intersezione tra organizzazione della vigilanza e controllo del datore di lavoro sul preposto: sistemica (anche se non sistematica e anche a campione) la prima, riscontrabile mediante una specifica procedura informativa, il secondo.
Indicazioni operative
Dai principi giurisprudenziali sopra richiamati, appare possibile declinare alcune generali indicazioni operative.
In primo luogo, appare opportuna una approfondita analisi del contesto aziendale in tema di ruoli e attribuzioni, volta ad escludere (ed eventualmente a correggere) aree di carente organizzazione e vigilanza.
A valle dell’analisi, può essere indicato un chiarimento dei diversi ruoli e funzioni in tema di sicurezza (così acquisendo anche un organigramma che chiarisca le diverse sfere di garanzia e di conseguente responsabilità).
Rileva, poi, una corretta (ed eventuale) attribuzione delle deleghe (art. 16 Dlgs 81/2008).
Fondamentale, di seguito, l’individuazione del o dei preposti, secondo l’organizzazione aziendale (in modo da evitare aree di omessa vigilanza). Ovviamente si tratta di una indicazione eventuale, in quanto ben potrebbe il datore di lavoro indicare se stesso come preposto laddove l’organizzazione non richiedesse una differenziazione del ruolo di datore di lavoro ed il soggetto chiamato a vigilare.
Altrettanto essenziale è l’individuazione di una procedura di controllo sulle attività del preposto, dalla quale risultino tanto l’azione sistemica di vigilanza del preposto sui lavoratori quanto quella costante ed informata del datore di lavoro sul preposto.
Conclusione
Le sentenze richiamate sollecitano, ancora una volta, l’attenzione ad una organizzazione corretta e trasparente, dove – anche richiamando le indicazioni dell’art. 28 del Dlgs 81/2008 – sia chiara e puntuale “l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri”.
Diversi punti restano da chiarire sulla novità normativa di fine 2021 che interessa la figura del preposto. Per questi, rinviamo ad un successivo intervento, anche alla luce di annunciati chiarimenti da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
[1] “Persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”
[2] “Sovrintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza. In caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell’inosservanza, interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti” e “in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere temporaneamente l’attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate.
[3] Cass., sent. n. 11030/2022 :”Incombe sul datore di lavoro il compito di vigilare, anche mediante la nomina di un preposto, sulle modalità di svolgimento del lavoro in modo da garantire la corretta osservanza delle disposizioni atte a prevenire infortuni sul lavoro, in quanto il datore di lavoro deve vigilare per impedire l’instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche. Nel caso in esame, emerge la responsabilità del datore di lavoro, in quanto non aveva vigilato e non aveva previsto la presenza sul posto di un preposto o, quantomeno, di un caposquadra, che impedisse modifiche imprudenti al cantiere destinate a compromettere la sicurezza dei lavoratori.